venerdì 2 marzo 2012

Ascoltate gli autistici! (seconda parte)

di Jean-Claude Maleval

I fautori del metodo ABA sono recentemente usciti dalla controversia scientifica legittima producendo un film di propaganda severamente condannato dalla giustizia francese in seguito alle rimostranze degli psicoanalisti intrappolati dalla regista del film. I difensori di Sophie Robert, la regista, hanno tentato di sostenere che questa condanna, se venisse confermata, condurrebbe anche all'interdizione dei film di Mickael Moore. Realizzatore americano di film impegnati (Bowling for Columbine, Farenheit 9/11), Mickael Moore ha subito numerosi processi, ma li ha vinti tutti. Ci deve dunque essere una differenza tra la sua pratica e quella di Sophie Robert! Due sembrerebbero evidenti.
Mickael Moore si mette in scena e filma le domande che pone ai suoi interlocutori, Sophie Robert non appare e nel montaggio separa certe domande dalle risposte cambiando così il senso della stessa risposta. Inoltre Mickael Moore interroga delle personalità rappresentative delle opinioni che combatte; mentre Sophie Robert interroga, sicuramente certe personalità rappresentative, ma convoca pure degli psicoanalisti che nessuno conosce e che esprimono delle opinioni che interessano solo a loro stessi.

Chi vorrebbe utilizzare la stessa modalità di propaganda per obiettare al metodo ABA, andrebbe a cercare un educatore che condivide questo metodo utilizzando ancora le punizioni corporali - e senza dubbio non sarebbe molto difficile trovarlo - vale a dire un nostalgico dei buoni vecchi elettrochoc inizialmente usati da Lovaas stesso. Si tratterebbe allora sicuramente di propaganda poiché il metodo esorta oggi a non ricorrere più ai condizionamenti avversivi e alle punizioni. In breve se Mickael Moore è così presente nei suoi film, se ne può dedurre che egli sia fiero di ciò che fa. Sophie Robert ha scelto di nascondersi. Delion, Golse, Wildlôcher e Danon-Boileau denunciano un "montaggio mutilato al servizio di una causa da dimostrare come vera” e che mira a ridicolizzarli. Gli psicoanalisti dellʼÉcole de la Cause Freudienne Laurent, Stevens e Solano, non sono indietreggiati nel fare un processo e la deformazione maliziosa dei loro interventi è stata confermata dalla giustizia.

I sostenitori dell'ABA militano contro una psicoanalisi che talvolta essi inventano o della quale fanno solo la caricatura. La psicoanalisi colpevolizzerebbe i genitori. Questa tesi di Bettelheim sempre citata non veniva già condivisa ai suoi tempi. Essi rifiutano in maniera disonesta di considerare che nessuno psicoanalista serio la sostiene al giorno d'oggi. Sottolineano che l'autismo sarebbe un problema neurobiologico. Ora, i dati più probanti in favore di questa tesi mettono sempre in evidenza come degli elementi legati all'ambiente interferiscono con una possibile predisposizione genetica. Se è un fatto ben definito che questi diversi metodi applicati in maniera intensiva (e di preferenza al caso per caso) arrivano a modificare le condotte dei soggetti, si deve sottolineare che non esiste alcun trattamento biologico dell'autismo e che la scoperta della plasticità cerebrale rende conto dell'efficienza delle pratiche psicologiche così come quelle dei metodi di apprendimento.

Sebbene siano ben intenzionati, questi ultimi incontrano dei limiti. La loro efficacia, constata il rapporto Baghdadli, è generalmente limitata all'acquisizione di una competenza specifica in base all'intervento effettuato, per cui non si giunge ad un cambiamento significativo della persona che beneficia dell'intervento (A. Baghdadli, M. Noyer, C. Aussiloux, Interventions éducatives, pédagogiques et thérapeutiques proposées dans l'autisme. Ministère de la Santé et des Solidarités, Paris. 2007, p. 261).

Certamente, i metodi di apprendimento invocano a loro favore delle statistiche eloquenti che attestano la loro efficacia. Senza entrare in interminabili discussioni sulle loro interpretazioni e su ciò che viene realmente riportato dalle cifre, sottolineiamo soprattutto che è incontestabile che dei risultati almeno equivalenti possano essere ottenuti con altri metodi più rispettosi del soggetto. Attenendosi ai soli racconti di madri che sono pervenute, attraverso dei metodi empirici di ispirazione diversa, a far uscire il loro bambino dal ritiro autistico, sembra chiaramente che i miglioramenti ottenuti attraverso la dolcezza e il gioco non siano da meno di quelli acquisiti con la violenza e la coercizione.
Quando negli anni '60 i Copeland scoprirono che ricorrere alle "carezze-ricompense e agli schiaffi-punizioni" con la loro figlia migliorava nettamente il suo comportamento, essi credettero di aver trovato la chiave del trattamento dell'autismo così cercata per lungo tempo. "Essi cercarono dunque di farle toccare tutti gli oggetti davanti ai quali ella aveva provato terrore. Ed erano innumerevoli. La prima volta, ha urlato con tutte le sue forze e, a più riprese, sembrava impossibile andare avanti. Ma infine essi l'hanno presa saldamente per il polso somministrandole una punizione ad ogni tentativo di resistenza. Poiché tale era il metodo adottato, si doveva seguirlo. Ed effettivamente, nel corso di settimane estenuanti, le reticenze di Anne si sono sciolte nettamente!" (J. Copeland, Pour l'amour d'Anne, Fleurus, Paris 1974, p. 39). Ora, i miglioramenti ottenuti più recentemente da Anne Idoux-Thivet con suo figlio non sono minori, per quanto si sia sempre rifiutata di "usare il bastone e la carota", praticando una "Iudoterapia" orientata dalle reazioni, dalle angosce e dalle manifestazioni di curiosità del suo bambino" (A. ldoux-Thivet, Ecouter l'autisme. Le livre d'une mère d'enfant-autiste, Autrement, Paris. 2009). In breve, l'accostamento di queste due testimonianze opposte attesta che ciò che si può ottenere con la violenza può essere ottenuto ancor meglio attraverso il gioco. La cura di Dibs operata da Virginia Axline facendo leva sui giochi del bambino accompagnati da un approccio non direttivo, era stata documentata fin dagli anni '60.

Un'altra madre di un bambino autistico, Hilde de Clerq, considerando la diversità dei metodi arriva alla seguente constatazione, che non si può che sottoscrivere: "È ben più piacevole, per tutti, seguire il modo di pensare di questi bambini e di restare positivi, piuttosto che imporre loro di adattarsi e di essere costantemente confrontati a dei problemi di comportamento. La miglior strategia per evitare dei problemi di comportamento è di anticiparti" (H. De Clercq, Dis maman, c'est un homme ou un animal?, Autisme France Diffusion, Mougins 2002, p. 97). Ora, per fare ciò, è inevitabile prendere in conto i loro modi di lottare contro l'angoscia, cosa che trascurano le tecniche di apprendimento.

Tutti i metodi di trattamento dell'autismo hanno i loro successi e i loro fallimenti. Questa diversità risulta in parte da differenze considerevoli nel funzionamento e nelle aspettative dei soggetti autistici. Tuttavia non tutti hanno la stessa posizione etica: per i metodi comportamentali e cognitivo-comportamentali la fonte del cambiamento è situata essenzialmente nelle mani dell'educatore, assecondato dai genitori; invece per i metodi che tengono conto della soggettività, si tratta di stimolare e di accompagnare una dinamica del cambiamento inerente al bambino. I metodi psicodinamici scommettono su una responsabilità del soggetto che può condurre fino alla sua indipendenza attraverso dei percorsi che sono da inventare e non programmati in anticipo (chi avrebbe dato fiducia ai compagni immaginari di Donna Williams o alla macchina immobilizzatrice di Temple Grandin?); gli approcci educativi operano un'altra scelta: essi lavorano con un bambino che dev'essere guidato sulla strada di uno sviluppo normalizzato, supposto valido per tutti. Di conseguenza essi giungono a migliorare la sua autonomia, ma stentano a favorirne lʼindipendenza. Numerosi sono oggi gli autistici di ʻalto funzionamentoʼ che testimoniano come siano pervenuti all'autonomia e poi all'indipendenza, alcuni di loro non segnalano di aver beneficiato in modo significativo dei metodi educativi, tutti riferiscono invece di aver inventato dei metodi molto originali per rendere compatibile il loro funzionamento autistico con il legame sociale.

La psicoanalisi del XXI° secolo non è la caricatura che spesso combattono alcune associazioni di genitori. La maggior parte dei suoi detrattori ignora che certi psicoanalisti (sicuramente su questo punto ancora in minoranza) considerano che l'autismo non è una psicosi, che al contrario dell'opinione della Tustin l'oggetto autistico può servire da appoggio prezioso per la cura, che le interpretazioni significanti o edipiche sono da bandire, che una “dolce forzatura” (Antonio Di Ciaccia) è necessaria per suscitare gli apprendimenti. Che cosa resta allora della pratica psicoanalitica? Essenzialmente la capacità di accompagnare il soggetto nelle sue invenzioni originali messe in atto per evitare l'angoscia. I metodi di apprendimento conducono a volte un autistico all'autonomia, ma mai all'indipendenza rispetto alla sua famiglia. Questi metodi d'altronde postulano che un seguito sarà sempre necessario. Numerose sono le esperienze singolari che contraddicono quest'affermazione. Le testimonianze degli autistici attestano che mai un autistico ha potuto accedere all'indipendenza senza aver beneficiato di un ascolto benevolo e del rispetto delle sue invenzioni.

È logico, quindi, che quanti cercano di cancellare la parola degli autistici siano gli
stessi che si adoperano per una propaganda caricaturale atta screditare i propositi degli psicoanalisti.

Traduzione di Cristiana Grigoletto e Nicola Purgato (Antenna 112)

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