di Guido Ferro Canale
Il discorso dell’Isterica è controparte necessaria del discorso dell’Analista. In altri termini: affinché si dia il transfert simbolico, è necessario che l’analizzante, quale che sia la sua condizione clinica, assuma una posizione corrispondente all’Isterica. Solo questo discorso, infatti, produce sapere, ossia: 1) istituisce un soggetto-supposto-sapere; 2) rende leggibili i sintomi come formazioni dell’inconscio (S1/S2); 3) consente, per questa via, il recupero, negli scarti, di un sapere non saputo, il rimosso.
Ci si può, allora, domandare se anche le difese – le posizioni soggettive note come “anima bella”, “noli me tangere”, “belle indifférence” – non possano trovare una propria formalizzazione nella teoria dei discorsi. Almeno per la prima, mi sembra inconfutabile una risposta affermativa: essa corrisponde perfettamente al discorso dell’Università. Il rovescio, guarda caso, di quello dell’Isterica.
Fin dal caso Aimée, Lacan riconosce un misconoscimento radicale al cuore della follia. Esso «si rivela nella rivolta per cui il folle vuole imporre la legge del suo cuore a ciò che gli appare come il disordine del mondo, impresa “insensata” […] per il fatto che il soggetto non riconosce in questo disordine del mondo la manifestazione stessa del proprio essere attuale, e che ciò che sente come legge del suo cuore non è che l’immagine rovesciata, e virtuale,di questo stesso essere. Essere che misconosce dunque doppiamente, e precisamente perché ne sdoppia l’attualità e la virtualità.».
In Funzione e campo, tuttavia, egli fa un passo in più: se la dialettica tra “anima bella” e “legge del cuore” è un’«impasse in cui il suo discorso delira», il soggetto dispone, però, di «una via d’uscita»: «Per lui la comunicazione può stabilirsi in modo valido nell’opera comune della scienza e negli usi che essa impone nella civiltà universale; questa comunicazione sarà effettiva all’interno dell’enorme oggettivazione costituita da questa scienza, e gli consentirà di dimenticare la sua soggettività. Egli collaborerà efficacemente all’opera comune col suo lavoro quotidiano e ornerà i suoi svaghi di tutte le gradevolezze di una cultura profusa che, tra il romanzo giallo e le memorie storiche, tra le conferenze educative e l’ortopedia delle relazioni di gruppo, gli darà di che dimenticare la sua esistenza e la sua morte e insieme di che misconoscere in una falsa comunicazione il senso particolare della sua vita.».
Non vi è dubbio che il passo citato combaci perfettamente con la formula del discorso universitario e, prima, con la critica alla soggettività scientifica, alla cesura tra “sapere” e “verità”, all’alienazione fondamentale dell’uomo moderno; ai nostri fini, pertanto, resta da dimostrare soltanto che questa pretesa «via d’uscita», in realtà, non risolve l’«impasse dialettica» di partenza, se non, appunto, nel senso dialettico, come Aufhebung. Posto, dunque, come “tesi” il misconoscimento «dell’anima bella che non riconosce la ragione stessa del suo essere nel disordine che essa denuncia nel mondo», ecco l’”antitesi” nel ripiegamento narcisistico della “legge del cuore”; mentre la comunicazione scientifica nega la negazione, mette fuori causa il soggetto, fornendo ogni sorta di prove, scientifiche, a sostegno dell’obiettivo disordine del mondo. Inoltre, il soggetto, già confermato nel suo misconoscimento fondamentale, si vedrà offrire: 1) uno speciale paradigma di godimento, quello del sapere; 2) quale meta per il proprio desiderio, l’esorcismo del reale, la sua scrittura in finissime maglie di discorso; 3) non da ultimo, la competenza tecnica per trasformare, almeno un poco, il mondo secondo i dettami della “legge del cuore” e tutto quanto, di fallico e narcisistico, ruota intorno ad un S1 come la “cattedra”.
Non a caso, dunque, Lacan accosta follia e comunicazione scientifica, come primo e terzo dei paradossi «della relazione del linguaggio con la parola» (il secondo sono “inibizione, sintomo e angoscia”). Del resto, se occorresse, quale miglior controprova del fatto che la scienza – in quanto riporta il delirio all’irrealtà del perceptum e a una supposta funzione unificante del percipiens – si rivela strutturalmente incapace di comprendere la psicosi? Il soggetto come effetto di discorso: questa la chiave del fenomeno delirante; ma questo, appunto, anche lo scarto del discorso scientifico, cui, perciò, è impossibile assumerlo come punto di vista.
In termini rigorosamente oggettivi o di realtà, del resto, l’infastidita ripulsa di Cartesio dinanzi alle allucinazioni dei folli è una mera petizione di principio: come si può dimostrare che essi non hanno ragione? Verrebbe da dire, quindi, che già nel momento in cui il dubbio metodico inaugura il soggettivismo radicale si prepari quell’inversione di rapporti per cui il soggetto contemporaneo, nel discorso del Capitalista, pensa di potersi far causa dei propri S1.
Tutto questo, come si vede, ci riporta sempre all’”anima bella”, all’«alienazione più profonda del soggetto della civiltà scientifica», rispetto a cui il sapere non è una soluzione, ma piuttosto un vicolo cieco; ed è significativo che, già in Funzione e campo, Lacan giunga a scrivere: «è questa [alienazione] che incontriamo per prima quando il soggetto comincia a parlarci di sé: tanto che, per risolverla integralmente, l’analisi dovrebbe forse esser condotta fino all’estremo della saggezza.».
E questo termine, «saggezza», mi sembra – certo, con una giusta dose di après-coup – un presentimento della soluzione vera e definitiva dell’im-passe, cioè la passe come fine dell’analisi e il sinthome, modo non fallico di localizzazione del godimento, strumento di una «saggezza» radicalmente diversa da ogni «sapere» e ad esso non riducibile.