venerdì 2 marzo 2012

Petizione internazionale a favore dell'approccio clinico dell'autismo

[Testo ripreso da http://www.scuolalacaniana.it/scheda.asp?t=news&id=164. Attenzione: NON è un doppione del post precedente!]


Su iniziativa dell’Institut Psychanalytique de L’Enfant
(Università Popolare Jacques Lacan)


Le associazioni,
I Professionisti implicati nell’accoglienza, la cura e l’accompagnamento dei soggetti autisti,
I Genitori i cui bambini sono accolti in strutture mediche o medico-sociali,
I cittadini interessati, francesi e non, firmatari di questa petizione,
- domandano che la psicoanalisi, le sue ricerche e i suoi praticanti, cessino di essere diffamati con affermazioni che mirano a screditarli;
- auspicano che i poteri pubblici prendano in considerazione la legittima preoccupazione delle famiglie, senza dimenticare tuttavia il lavoro che, da decenni, le equipes di professionisti con bambini e adulti autisti compiono nel quadro dei settori di psichiatria, delle consultazioni private, delle istituzioni medico-sociali. Questo lavoro beneficia, in numerosissimi casi, della formazione psicoanalitica di coloro che vi intervengono,
- auspicano che l’inquietudine delle famiglie non sia sfruttata per designare dei capri espiatori, né denigrare dei professionisti ingaggiati a promuovere le istituzioni e le pratiche che garantiscono che il bambino e la sua famiglia saranno rispettati nei loro momenti soggettivi,
- considerano che in Francia, la rappresentanza nazionale, nella sua saggezza, eviterà di pronunciarsi su un problema di salute pubblica che, ben lungi dall’essere trascurato, è da tempo preso in considerazione,
- fanno appello a che sia messo in atto un piano capace di assicurare i mezzi umani e strutturali necessari al proseguimento delle cure e dell’accompagnamento educativo richiesti dalla situazione singolare di ogni bambino e adulto sofferente di autismo.
 

Petizione sull'autismo

di Nicola Purgato*




Alcuni decenni orsono dall’America spirava un vento innovatore, o almeno così si spacciava, che sarebbe stato in grado di rivoluzionare la clinica psi. Si trattava dell’approccio cognitivo-comportamentale che, ad esempio, si presentava allora come il trattamento elettivo per le fobie. Gli psicoanalisti, in Europa ed in Italia, forti allora di essere nel continente in cui la psicoanalisi era nata, non si erano dati troppa pena nel contrastare quest’aria nuova che è riuscita comunque ad attraversare l’Europa.
Questo vento nel tempo è diventato un tsunami. L’Europa intera ne è stata travolta e il “cavallo di troia” oggi non è più il piccolo quanto variegato mondo delle fobie, ma l’autismo! Lo sanno bene i nostri colleghi di Bruxelles che già alcuni anni fa hanno dovuto riscrivere “nella lingua dell’Altro” la loro pratica clinica per poter essere accreditati dallo stato (cfr. “Un programma? Non senza il soggetto”, in Préliminaire 16, 2006); così come lo sanno i nostri colleghi francesi che hanno fatto del’ossessione statale per la valutazione una battaglia senza pari e senza indugi; così come i nostri colleghi spagnoli che nel giugno 2010 hanno dovuto organizzare rapidamente un forum dal titolo eloquente “Il silenzio della valutazione. Un caso urgente: l’autismo” (www.foroautismo.com) dal momento che due proposte del Partito Popolare imponevano di considerare l'autismo unicamente come un deficit cognitivo e una difficoltà dell’apprendimento da trattare pedagogicamente.
In Francia è recente la battaglia legale che la ECF ha portato avanti per far ritirare il film “Il Muro: la psicoanalisi alla prova dell’autismo” che aveva il chiaro intento diffamatorio - forzando interviste e testimonianze - di mostrare come l’approccio psicoanalitico all’autismo sia assurdo e di propagandare come unico metodo valido le cosiddette terapie cognitivo-comportamentali. Il tribunale di Lille ha "constatato che i passi delle interviste" degli psicoanalisti di fama "Esthela Solano-Suarez, Eric Laurent e Alexandre Stevens (...) attentano alla loro immagine e alla loro reputazione in quanto il senso delle loro affermazioni è snaturato" sentenziando così anche il ritiro dalle sale e da internet del docu-film.
Questo tsunami potevamo prevederlo, ma non così impetuoso. Alcuni segnali premonitori erano già lì da tempo! Le Linee guida per l'autismo. Raccomandazioni tecniche - operative per i servizi di neuropsichiatria dell'età evolutiva della SINPIA (Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza) del 2005, pur affermando che “non esiste un intervento che va bene per tutti i bambini autistici, che non esiste un intervento che va bene per tutte le età, che non esiste un intervento che può rispondere a tutte le molteplici esigenze direttamente e indirettamente legate all’Autismo”, nel definire l’Autismo come “un disordine dello sviluppo biologicamente determinato che si traduce in un funzionamento mentale atipico che accompagna il soggetto per tutto il suo ciclo vitale” suggeriva implicitamente dei metodi esclusivamente rieducativi.
Le due associazioni di genitori di autistici più importanti in Italia, ossia AUTISMO ITALIA (art. 1) e ANGSA (art. 4) da tempo nei loro rispettivi statuti dichiarano che “si accetta che l'autismo sia la conseguenza di una disfunzione cerebrale piuttosto che un disturbo di origine psicogenetica”. Da ciò ne consegue la strenua lotta nei confronti della psicoanalisi, il matrimonio felice con i metodi cognitivo-comportamentali come il TEACCH (Treatment and Education of Autistic and Communication Handicaped Children) e l’ABA (Applied Behavior Analysis) e il discredito nei confronti anche del libro del nostro collega Martin Egge                                                      
Ora, come molti di voi sapranno, visto lo spazio che l’evento ha occupato su giornali e notiziari, l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha elaborato delle linee guida nazionali per l’autismo (“Il trattamento dei disturbi dello spettro autistico nei bambini e negli adolescenti) che sono state presentate a Roma il 26 gennaio u.s. Tra gli intenti di queste linee guida vi è quello di fare luce su una ridda di metodi e proposte terapeutiche, molte delle quali rasentano la creduloneria e hanno dato e danno luogo tuttora a “viaggi della speranza” inconsistenti da parte di molti genitori di autistici. L’inghippo sta invece nel fatto che viene proposto come unico metodo scientifico per la presa in carico di questo handicap (!) l’approccio ABA e si raccomanda alle istituzioni di ogni livello e grado di attenersi a tali indicazioni.
L’assunzione di un unico modello terapeutico, non solo è impoverente e scientificamente parziale (si ignora tutta una letteratura ‘altra’ sia italiana che straniera, si fanno scelte epistemologiche discutibili nella clinica...), ma avvia un processo di omologazione della pratica clinica imposto dallo Stato (su evidente pressione di alcuni gruppi e associazioni). La psicoanalisi, ad esempio, non è - e volutamente - citata e presa in considerazione. Si comincia con l’autismo... ma è tutta la concezione della clinica, del soggetto e del reale ad essere messa radicalmente e ufficialmente in discussione.
A fronte di ciò la scorsa settimana - in concomitanza con la presentazione delle Linee Guida dell’ISS, un gruppo bipartisan di parlamentari – Udc: Paola Binetti, Teresio Delfino, Marco Calgaro, Nunzio Testa; Pd: Luciana Pedato; Pdl: Lucio Barani; Api: Donato Mosella, Emanuela Baio; Fli: Carmine Patarino – durante la conferenza stampa ‘Luci e ombre sulle linee guida sull’autismo’ svoltasi a Montecitorio assieme ad alcune associazioni di genitori ed esperti del settore, hanno chiesto di aprire un tavolo di riflessione sulle Linea Guida.
I promotori di questa iniziativa a Montecitorio (che possiamo far risalire all’Istituto di Ortofonologia di Roma - Ido) hanno successivamente elaborato una petizione che sarebbe opportuno sostenere e divulgare. Come già discusso con la presidente Paola Francesconi, non è la petizione che avremmo scritto noi, visto che sono stati omessi diversi elementi teorico-clinici che noi avremmo sicuramente messo in evidenza, ma rimane comunque una petizione importante e - soprattutto - già esistente, il cui intento è di riaprire il tavolo di lavoro. Sono a stretto contatto con il principale promotore dell’iniziativa che conta su di noi non solo per accrescere il numero di coloro che sottoscrivono la petizione (conditio sine qua non per riaprire il tavolo all’ISS), ma anche per apportare nella fase successiva un contributo teorico e di esperienze che possa allargare l’orizzonte delle attuali linee guida. Se si arriverà, come mi auguro, a questo momento, sarà prezioso il lavoro di molti di noi. Per ora, d’accordo con la presidente SLP, cerchiamo convergenze e alleanze con istituzioni e associazioni che condividono con noi una prospettiva più rispettosa della soggettività di molti bambini e ragazzi che tanti di noi hanno avuto modo di incontrare e di prendersi cura. La posta in gioco è anche - inutile dirlo! - il posto e il destino della psicoanalisi nella nostra epoca e in Italia.
Chiedo pertanto, a chi lo desideri, di aderire in nome proprio alla petizione seguendo il link che trovate qui sotto. Mi auguro che molti di voi possano accettare questo invito e vi ringrazio fin d’ora. 


*Direttore terapeutico Antenna 112 e Antennina
Centri educativi-riabilitativi per minori autistici di Venezia

Ascoltate gli autistici! (seconda parte)

di Jean-Claude Maleval

I fautori del metodo ABA sono recentemente usciti dalla controversia scientifica legittima producendo un film di propaganda severamente condannato dalla giustizia francese in seguito alle rimostranze degli psicoanalisti intrappolati dalla regista del film. I difensori di Sophie Robert, la regista, hanno tentato di sostenere che questa condanna, se venisse confermata, condurrebbe anche all'interdizione dei film di Mickael Moore. Realizzatore americano di film impegnati (Bowling for Columbine, Farenheit 9/11), Mickael Moore ha subito numerosi processi, ma li ha vinti tutti. Ci deve dunque essere una differenza tra la sua pratica e quella di Sophie Robert! Due sembrerebbero evidenti.
Mickael Moore si mette in scena e filma le domande che pone ai suoi interlocutori, Sophie Robert non appare e nel montaggio separa certe domande dalle risposte cambiando così il senso della stessa risposta. Inoltre Mickael Moore interroga delle personalità rappresentative delle opinioni che combatte; mentre Sophie Robert interroga, sicuramente certe personalità rappresentative, ma convoca pure degli psicoanalisti che nessuno conosce e che esprimono delle opinioni che interessano solo a loro stessi.

Chi vorrebbe utilizzare la stessa modalità di propaganda per obiettare al metodo ABA, andrebbe a cercare un educatore che condivide questo metodo utilizzando ancora le punizioni corporali - e senza dubbio non sarebbe molto difficile trovarlo - vale a dire un nostalgico dei buoni vecchi elettrochoc inizialmente usati da Lovaas stesso. Si tratterebbe allora sicuramente di propaganda poiché il metodo esorta oggi a non ricorrere più ai condizionamenti avversivi e alle punizioni. In breve se Mickael Moore è così presente nei suoi film, se ne può dedurre che egli sia fiero di ciò che fa. Sophie Robert ha scelto di nascondersi. Delion, Golse, Wildlôcher e Danon-Boileau denunciano un "montaggio mutilato al servizio di una causa da dimostrare come vera” e che mira a ridicolizzarli. Gli psicoanalisti dellʼÉcole de la Cause Freudienne Laurent, Stevens e Solano, non sono indietreggiati nel fare un processo e la deformazione maliziosa dei loro interventi è stata confermata dalla giustizia.

I sostenitori dell'ABA militano contro una psicoanalisi che talvolta essi inventano o della quale fanno solo la caricatura. La psicoanalisi colpevolizzerebbe i genitori. Questa tesi di Bettelheim sempre citata non veniva già condivisa ai suoi tempi. Essi rifiutano in maniera disonesta di considerare che nessuno psicoanalista serio la sostiene al giorno d'oggi. Sottolineano che l'autismo sarebbe un problema neurobiologico. Ora, i dati più probanti in favore di questa tesi mettono sempre in evidenza come degli elementi legati all'ambiente interferiscono con una possibile predisposizione genetica. Se è un fatto ben definito che questi diversi metodi applicati in maniera intensiva (e di preferenza al caso per caso) arrivano a modificare le condotte dei soggetti, si deve sottolineare che non esiste alcun trattamento biologico dell'autismo e che la scoperta della plasticità cerebrale rende conto dell'efficienza delle pratiche psicologiche così come quelle dei metodi di apprendimento.

Sebbene siano ben intenzionati, questi ultimi incontrano dei limiti. La loro efficacia, constata il rapporto Baghdadli, è generalmente limitata all'acquisizione di una competenza specifica in base all'intervento effettuato, per cui non si giunge ad un cambiamento significativo della persona che beneficia dell'intervento (A. Baghdadli, M. Noyer, C. Aussiloux, Interventions éducatives, pédagogiques et thérapeutiques proposées dans l'autisme. Ministère de la Santé et des Solidarités, Paris. 2007, p. 261).

Certamente, i metodi di apprendimento invocano a loro favore delle statistiche eloquenti che attestano la loro efficacia. Senza entrare in interminabili discussioni sulle loro interpretazioni e su ciò che viene realmente riportato dalle cifre, sottolineiamo soprattutto che è incontestabile che dei risultati almeno equivalenti possano essere ottenuti con altri metodi più rispettosi del soggetto. Attenendosi ai soli racconti di madri che sono pervenute, attraverso dei metodi empirici di ispirazione diversa, a far uscire il loro bambino dal ritiro autistico, sembra chiaramente che i miglioramenti ottenuti attraverso la dolcezza e il gioco non siano da meno di quelli acquisiti con la violenza e la coercizione.
Quando negli anni '60 i Copeland scoprirono che ricorrere alle "carezze-ricompense e agli schiaffi-punizioni" con la loro figlia migliorava nettamente il suo comportamento, essi credettero di aver trovato la chiave del trattamento dell'autismo così cercata per lungo tempo. "Essi cercarono dunque di farle toccare tutti gli oggetti davanti ai quali ella aveva provato terrore. Ed erano innumerevoli. La prima volta, ha urlato con tutte le sue forze e, a più riprese, sembrava impossibile andare avanti. Ma infine essi l'hanno presa saldamente per il polso somministrandole una punizione ad ogni tentativo di resistenza. Poiché tale era il metodo adottato, si doveva seguirlo. Ed effettivamente, nel corso di settimane estenuanti, le reticenze di Anne si sono sciolte nettamente!" (J. Copeland, Pour l'amour d'Anne, Fleurus, Paris 1974, p. 39). Ora, i miglioramenti ottenuti più recentemente da Anne Idoux-Thivet con suo figlio non sono minori, per quanto si sia sempre rifiutata di "usare il bastone e la carota", praticando una "Iudoterapia" orientata dalle reazioni, dalle angosce e dalle manifestazioni di curiosità del suo bambino" (A. ldoux-Thivet, Ecouter l'autisme. Le livre d'une mère d'enfant-autiste, Autrement, Paris. 2009). In breve, l'accostamento di queste due testimonianze opposte attesta che ciò che si può ottenere con la violenza può essere ottenuto ancor meglio attraverso il gioco. La cura di Dibs operata da Virginia Axline facendo leva sui giochi del bambino accompagnati da un approccio non direttivo, era stata documentata fin dagli anni '60.

Un'altra madre di un bambino autistico, Hilde de Clerq, considerando la diversità dei metodi arriva alla seguente constatazione, che non si può che sottoscrivere: "È ben più piacevole, per tutti, seguire il modo di pensare di questi bambini e di restare positivi, piuttosto che imporre loro di adattarsi e di essere costantemente confrontati a dei problemi di comportamento. La miglior strategia per evitare dei problemi di comportamento è di anticiparti" (H. De Clercq, Dis maman, c'est un homme ou un animal?, Autisme France Diffusion, Mougins 2002, p. 97). Ora, per fare ciò, è inevitabile prendere in conto i loro modi di lottare contro l'angoscia, cosa che trascurano le tecniche di apprendimento.

Tutti i metodi di trattamento dell'autismo hanno i loro successi e i loro fallimenti. Questa diversità risulta in parte da differenze considerevoli nel funzionamento e nelle aspettative dei soggetti autistici. Tuttavia non tutti hanno la stessa posizione etica: per i metodi comportamentali e cognitivo-comportamentali la fonte del cambiamento è situata essenzialmente nelle mani dell'educatore, assecondato dai genitori; invece per i metodi che tengono conto della soggettività, si tratta di stimolare e di accompagnare una dinamica del cambiamento inerente al bambino. I metodi psicodinamici scommettono su una responsabilità del soggetto che può condurre fino alla sua indipendenza attraverso dei percorsi che sono da inventare e non programmati in anticipo (chi avrebbe dato fiducia ai compagni immaginari di Donna Williams o alla macchina immobilizzatrice di Temple Grandin?); gli approcci educativi operano un'altra scelta: essi lavorano con un bambino che dev'essere guidato sulla strada di uno sviluppo normalizzato, supposto valido per tutti. Di conseguenza essi giungono a migliorare la sua autonomia, ma stentano a favorirne lʼindipendenza. Numerosi sono oggi gli autistici di ʻalto funzionamentoʼ che testimoniano come siano pervenuti all'autonomia e poi all'indipendenza, alcuni di loro non segnalano di aver beneficiato in modo significativo dei metodi educativi, tutti riferiscono invece di aver inventato dei metodi molto originali per rendere compatibile il loro funzionamento autistico con il legame sociale.

La psicoanalisi del XXI° secolo non è la caricatura che spesso combattono alcune associazioni di genitori. La maggior parte dei suoi detrattori ignora che certi psicoanalisti (sicuramente su questo punto ancora in minoranza) considerano che l'autismo non è una psicosi, che al contrario dell'opinione della Tustin l'oggetto autistico può servire da appoggio prezioso per la cura, che le interpretazioni significanti o edipiche sono da bandire, che una “dolce forzatura” (Antonio Di Ciaccia) è necessaria per suscitare gli apprendimenti. Che cosa resta allora della pratica psicoanalitica? Essenzialmente la capacità di accompagnare il soggetto nelle sue invenzioni originali messe in atto per evitare l'angoscia. I metodi di apprendimento conducono a volte un autistico all'autonomia, ma mai all'indipendenza rispetto alla sua famiglia. Questi metodi d'altronde postulano che un seguito sarà sempre necessario. Numerose sono le esperienze singolari che contraddicono quest'affermazione. Le testimonianze degli autistici attestano che mai un autistico ha potuto accedere all'indipendenza senza aver beneficiato di un ascolto benevolo e del rispetto delle sue invenzioni.

È logico, quindi, che quanti cercano di cancellare la parola degli autistici siano gli
stessi che si adoperano per una propaganda caricaturale atta screditare i propositi degli psicoanalisti.

Traduzione di Cristiana Grigoletto e Nicola Purgato (Antenna 112)

L'anima bella e il discorso dell'Università

di Guido Ferro Canale


Il discorso dell’Isterica è controparte necessaria del discorso dell’Analista. In altri termini: affinché si dia il transfert simbolico, è necessario che l’analizzante, quale che sia la sua condizione clinica, assuma una posizione corrispondente all’Isterica. Solo questo discorso, infatti, produce sapere, ossia: 1) istituisce un soggetto-supposto-sapere; 2) rende leggibili i sintomi come formazioni dell’inconscio (S1/S2); 3) consente, per questa via, il recupero, negli scarti, di un sapere non saputo, il rimosso.
Ci si può, allora, domandare se anche le difese – le posizioni soggettive note come “anima bella”, “noli me tangere”, “belle indifférence” – non possano trovare una propria formalizzazione nella teoria dei discorsi. Almeno per la prima, mi sembra inconfutabile una risposta affermativa: essa corrisponde perfettamente al discorso dell’Università. Il rovescio, guarda caso, di quello dell’Isterica.
Fin dal caso Aimée, Lacan riconosce un misconoscimento radicale al cuore della follia. Esso «si rivela nella rivolta per cui il folle vuole imporre la legge del suo cuore a ciò che gli appare come il disordine del mondo, impresa “insensata” […] per il fatto che il soggetto non riconosce in questo disordine del mondo la manifestazione stessa del proprio essere attuale, e che ciò che sente come legge del suo cuore non è che l’immagine rovesciata, e virtuale,di questo stesso essere. Essere che misconosce dunque doppiamente, e precisamente perché ne sdoppia l’attualità e la virtualità.».1
In Funzione e campo, tuttavia, egli fa un passo in più: se la dialettica tra “anima bella” e “legge del cuore” è un’«impasse in cui il suo discorso delira», il soggetto dispone, però, di «una via d’uscita»: «Per lui la comunicazione può stabilirsi in modo valido nell’opera comune della scienza e negli usi che essa impone nella civiltà universale; questa comunicazione sarà effettiva all’interno dell’enorme oggettivazione costituita da questa scienza, e gli consentirà di dimenticare la sua soggettività. Egli collaborerà efficacemente all’opera comune col suo lavoro quotidiano e ornerà i suoi svaghi di tutte le gradevolezze di una cultura profusa che, tra il romanzo giallo e le memorie storiche, tra le conferenze educative e l’ortopedia delle relazioni di gruppo, gli darà di che dimenticare la sua esistenza e la sua morte e insieme di che misconoscere in una falsa comunicazione il senso particolare della sua vita.».2
Non vi è dubbio che il passo citato combaci perfettamente con la formula del discorso universitario e, prima, con la critica alla soggettività scientifica,3 alla cesura tra “sapere” e “verità”,4 all’alienazione fondamentale dell’uomo moderno;5 ai nostri fini, pertanto, resta da dimostrare soltanto che questa pretesa «via d’uscita», in realtà, non risolve l’«impasse dialettica» di partenza, se non, appunto, nel senso dialettico, come Aufhebung. Posto, dunque, come “tesi” il misconoscimento «dell’anima bella che non riconosce la ragione stessa del suo essere nel disordine che essa denuncia nel mondo»,6 ecco l’”antitesi” nel ripiegamento narcisistico della “legge del cuore”; mentre la comunicazione scientifica nega la negazione, mette fuori causa il soggetto, fornendo ogni sorta di prove, scientifiche, a sostegno dell’obiettivo disordine del mondo. Inoltre, il soggetto, già confermato nel suo misconoscimento fondamentale, si vedrà offrire: 1) uno speciale paradigma di godimento, quello del sapere; 2) quale meta per il proprio desiderio, l’esorcismo del reale, la sua scrittura in finissime maglie di discorso; 3) non da ultimo, la competenza tecnica7 per trasformare, almeno un poco, il mondo secondo i dettami della “legge del cuore” e tutto quanto, di fallico e narcisistico, ruota intorno ad un S1 come la “cattedra”.
Non a caso, dunque, Lacan accosta follia e comunicazione scientifica, come primo e terzo dei paradossi «della relazione del linguaggio con la parola»8 (il secondo sono “inibizione, sintomo e angoscia”).9 Del resto, se occorresse, quale miglior controprova del fatto che la scienza – in quanto riporta il delirio all’irrealtà del perceptum e a una supposta funzione unificante del percipiens10 – si rivela strutturalmente incapace di comprendere la psicosi? Il soggetto come effetto di discorso: questa la chiave del fenomeno delirante; ma questo, appunto, anche lo scarto del discorso scientifico, cui, perciò, è impossibile assumerlo come punto di vista.
In termini rigorosamente oggettivi o di realtà, del resto, l’infastidita ripulsa di Cartesio dinanzi alle allucinazioni dei folli è una mera petizione di principio:11 come si può dimostrare che essi non hanno ragione?12 Verrebbe da dire, quindi, che già nel momento in cui il dubbio metodico inaugura il soggettivismo radicale si prepari quell’inversione di rapporti per cui il soggetto contemporaneo, nel discorso del Capitalista, pensa di potersi far causa dei propri S1.
Tutto questo, come si vede, ci riporta sempre all’”anima bella”, all’«alienazione più profonda del soggetto della civiltà scientifica», rispetto a cui il sapere non è una soluzione, ma piuttosto un vicolo cieco; ed è significativo che, già in Funzione e campo, Lacan giunga a scrivere: «è questa [alienazione] che incontriamo per prima quando il soggetto comincia a parlarci di sé: tanto che, per risolverla integralmente, l’analisi dovrebbe forse esser condotta fino all’estremo della saggezza.».13
E questo termine, «saggezza»,14 mi sembra – certo, con una giusta dose di après-coup – un presentimento della soluzione vera e definitiva dell’im-passe, cioè la passe come fine dell’analisi e il sinthome, modo non fallico di localizzazione del godimento, strumento di una «saggezza» radicalmente diversa da ogni «sapere» e ad esso non riducibile.


1 J. Lacan, Discorso sulla causalità psichica, in Id., Scritti, Einaudi, Torino 1979, vol. I, pagg. 165-6 (ma cfr. amplius pagg. 162-9).
2 Id., Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi, Ibid., pag. 275 (ma amplius pagg. 273-7).
3 Cfr., in particolare, Id., Una questione preliminare ad ogni possibile trattamento della psicosi, in Scritti, cit., vol. II, pag. 572.
4 V. almeno Id., La scienza e la verità, Ibid., pag. 860.
5 Su cui cfr., oltre ai passi già richiamati, J.-A. Miller, Indice ragionato dei concetti principali, Ibid., pag. 909, lettera B. Teoria dell’ideologia, e relativi riferimenti.
6 J. Lacan, Funzione e campo, cit., pag. 275.
7 Che oggi è soprattutto quella delle scienze sperimentali e informatiche, ma ieri era quella del filosofo, anzi, del philosophe e dell’idéologue (nonché del teorico della “prassi rivoluzionaria”).
8 Id., Funzione e campo, cit., pag. 274.
9 Ibid., pagg. 273-4 (peraltro, l’elaborazione sembra privilegiare, fra i tre momenti, il sintomo come formazione dell’inconscio). Sarebbe troppo azzardato inserire questo secondo paradosso nel nostro schema dialettico, in corrispondenza dell’antitesi, e leggere, quindi, il sintomo come conseguenza del ripiegamento narcisista della “legge del cuore”? Dopotutto, si sta parlando ex professo dei sintomi nevrotici; e una loro lettura in termini di ripiegamento libidico sul corpo (nell’ipocondria, ma non solo) è offerta da S. Freud, Introduzione al narcisismo, cap. II.
10 J. Lacan, Discorso sulla causalità psichica, cit., pagg. 158-62; Id., Una questione preliminare, cit., pagg. 528-32 e 537-8.
11 Id., Discorso sulla causalità psichica, cit., pag. 161; e appunto «petizioni di principio» si individuano nella posizione dello psichiatra: cfr. Id., Una questione preliminare, cit., pag. 556.
12 Un folle particolarmente lucido come il Presidente Schreber, del resto, ha saputo sfruttare assai bene quest’argomento contro le conclusioni, a lui avverse, della perizia psichiatrica.
13 J. Lacan, Funzione e campo, cit., pag. 274.
14 Sembrerebbe rimandare, per la verità, ad autori ben noti a Lacan, quali sono i Presocratici, e ad alcune pagine dello stesso Platone. Sempre ammesso che simili echi non stonino nel contesto del brano.

Ascoltate gli autistici! (prima parte)

di Jean-Claude Maleval*



Gli autistici che scrivono non sono dei ʻletterati folliʼ. Non credono, come questi ultimi, di aver fatto una grande scoperta. Sono dei soggetti da prendere sul serio. Si esprimono per far sapere che sono degli esseri intelligenti, per essere trattati con più considerazione e per far sì che che vengano rispettate le loro invenzioni architettate per contenere lʼangoscia. Forse che si augurano che venga legalmente interdetto il loro ascolto per sottometterli, più spesso senza il loro consenso, a dei metodi di apprendimento? Bisogna prendere il partito di ascoltarli o quello di contraddirli? Scegliere di ascoltarli espone a confrontarsi con delle opinioni che disturbano.

Una delle autistiche ad ʻalto funzionamentoʼ tra le più conosciute, Donna Willliams, non esita, di fronte alla questione del trattamento dellʼautismo, a dichiarare con forza: “Il migliore approccio” - scrive - sarebbe “quello che non vendesse lʼindividualità e la libertà del bambino a vantaggio dellʼidea di rispettabilità e impressionabilità dei genitori, degli insegnanti o dei consulenti” (Nessuno in nessun luogo, Armando, Roma 2006, p. 172-173)

Un'altra autistica, Temple Grandin, conferma: "Le persone che maggiormente mi aiutarono furono sempre quelle più creative e meno convenzionali" (Pensare in immagini, Erickson, Trento 2001, p. 107). La psicoanalisi non è una, è multipla come lo sono le pratiche psicoanalitiche; eppure hanno tutte un punto in comune: sono fondate sull'ascolto dell'altro. Pensare di interdire legalmente l'ascolto di un gruppo umano rivela un'ideologia politica soggiacente tra Ie più inquietanti. Certamente non ogni ascolto è psicoanalitico, ma come farà il legislatore a fare la differenza tra la pratica nociva dell'ascolto psicoanalitico e quella benefica autorizzata? Il suo ruolo, inoltre, è quello di raccomandare gli approcci sordi all'ascolto delle particolarità del soggetto autistico? Questo sembrerebbe in rottura con la Dichiarazione dei diritti delle persone autistiche, proposta da Autismo Europa e adottata dal Parlamento Europeo il 9 maggio 1996. In questo documento si chiede di riconoscere e di rispettare i desideri degli individui, in modo che gli autistici abbiano "il diritto di non essere esposti all'angoscia, alle minacce e ai trattamenti abusivi". Come si potrebbe fare tutto ciò senza essere in ascolto di quanto loro stessi ci dicono?

Tutte le pratiche psicoanalitiche hanno in comune di raccomandare il rispetto del
singolo e il suo non riassorbimento nell'universale. E' quanto desiderano all'unanimità gli autistici che si esprimono. Non è in primo luogo agli studi randomizzati, che permettono una valutazione scientifica impeccabile, che conviene chiedere come trattare l'autismo; sono gli stessi soggetti implicati che ci insegnano di più. Essi possiedono un preciso sapere su loro stessi. Dobbiamo prendere seriamente i consigli dati da Jim Sinclair ai genitori, consigli che si rivelano molto utili anche per gli educatori e i clinici: "I nostri modi di entrare in relazione - afferma in nome degli autistici - sono diversi. Insistete sulle cose che le vostre aspettative considerano come normali e incontrerete la frustrazione, la delusione, il risentimento, forse anche la rabbia e l'odio. Avvicinatevi rispettosamente, senza pregiudizi, e preparatevi ad imparare cose nuove e troverete un mondo che non avreste mai potuto immaginare” (J. Sinclair, Don't mourn for us. Autism Network International, in Our voice, 1993, 1, 3). Un'autistica mutacica e colta come Annick Deshays mostra la sua veemenza nel rivendicare una presa in carico degli autistici che non ceda sulla loro singolarità: "Perché fare delle discussioni su degli scritti ufficiali che riguardano la presa in carico delle persone autistiche se gli interessati stessi non hanno diritto alle informazioni, ancor meno alla parola?" scrive sul suo computer (A Deshays, Libres propos philosophiques d'une autiste, Presses de la Renaisssance, Paris 2009, p. 57). Lei si oppone ai metodi educativi che disegnano a priori il programma delle tappe dello sviluppo da superare: "Disegnare un piano scientifico di educazione con gli autistici, in modo uniforme e unilaterale, produce un regime di dittatura protettrice. [...] Occorre trovare la facoltà (o le facoltà) di ogni persona autistica prima di stabilire un cammino educativo".
Considera inoltre che: "Fare del comportamentalismo è incitare a renderci 'facili' attraverso una formattazione che riduce la nostra libertà di espressione; è inasprire iI nostro grave problema di identificazione e umanizzazione". Cerca così di farsi capire dagli specialisti per far passare questo messaggio: "Dire a chi decide fin da oggi, che pensare per noi rischia di svuotare la «sostantifica midolla» (Rabelais) della nostra ragione di esistere". Contrariamente a questi metodi, lei esalta "il rischio di un dialogo" e la volontà di "addomesticare la paura che isola", invita poi a cercare di "apprezzare i tratti umoristici propri" allo stile che gli autistici hanno di guardare la vita". Tutto questo - lei aggiunge - "obbliga a lavorare più in unicità che in uniformità, più in relazione duale che in contesti unilaterali". Come la maggior parte degli autistici, lei chiede di essere considerata come un soggetto capace di creatività che è bene tenere in conto: "Issiamo le nostre conoscenze secondo il nostro buon volere - sottolinea - dispiegando un potenziale che ci è proprio. [...] Più prendo parte alle decisioni che mi riguardano - aggiunge lei - più ho l'impressione di esistere interamente".

Se non vengono ascoltati, molti autistici finiscono per rassegnarsi a ciò che si impone loro; in compenso, quando il soggetto possiede i mezzi per esprimersi emerge sempre. Così Donna Williams non nasconde la sua ribellione in presenza di certe tecniche educative. Negli anni '90 fece uno stage in una casa specializzata per bambini in difficoltà osservando due educatori zelanti nel loro lavoro con una bambina autistica. Fu colpita dal fatto che loro non conoscessero il mondo interiore del bambino. "Rimasi lì. Soffrendo per quel bombardamento del suo territorio personale da parte dei loro corpi, del loro respiro, del loro odore, delle loro risa, del movimento e del loro rumore. In modo maniacale scuotevano sonaglini, muovevano oggetti davanti alla bambina come se fossero un paio di zelantissimi stregoni che sperassero di spezzare il malvagio incantesimo dell'autismo. La loro interpretazione dell'avvertimento sembrava essere quella di sovraccaricare la bambina di esperienze che, nella loro infinita saggezza di 'mondo', le avrebbero portato. Ebbi l'impressione che, se avessero potuto impadronirsi di un 'piede di porco' e usarlo per aprire la sua anima e ficcarle dentro 'il mondo', lo avrebbero fatto senza mai accorgersi che il loro paziente era morto sul tavolo operatorio. La bambina gridava e si dondolava, le braccia alzate contro le orecchie per tener fuori il rumore e gli occhi incrociati per arrestare il bombardamento del 'rumore visivo'. Guardavo quella gente e avrei voluto che imparassero cosa fosse l'inferno sensoriale. Stavo assistendo ad una tortura, in cui la vittima non aveva nessuna possibilità di difendersi con qualsiasi linguaggio comprensibile [...] Erano chirurghi che operavano con attrezzi di giardinaggio e senza anestetico" (Qualcuno in qualche luogo, Armando, Roma 2005, pp. 28-29). Senza dubbio si ispiravano ad un metodo classico di apprendimento, che consiste nel presentare uno stimolo in sequenze ripetute, osservare poi la risposta del bambino e dare qualcosa per rinforzarla o inibirla. Una applicazione sistematica di questi principi viene raccomandata dal metodo ABA, fondato da Lovaas, almeno per 2 anni, in ragione di 40 ore a settimana, con dei bambini il cui consenso non è ricercato, anche se si sa che la maggior parte di loro percepiscono le domande come intrusive e minacciose.

Fin dalla sua apparizione la psicoanalisi disturba, rivelando che l'uomo non è padrone di se stesso; contrariamente alle illusioni della ragione, essa non annuncia una buona novella. Tuttavia la psicoanalisi perdura malgrado le critiche incessanti che testimoniano prima di tutto la sua vitalità. Attualmente, è sul terreno dell'autismo che si concentrano gli attacchi contro la psicoanalisi. In Francia - ad esempio - vengono in particolare da Autismo Francia, associazione di genitori da cui il deputato Fasquelle riprende l'argomentario in favore del metodo ABA, sottoponendo un progetto di legge che mira ad interdire le pratiche psicoanalitiche. In primo luogo, tra queste, il packing, già praticato da Esquirol cinquanta anni prima della nascita di Freud sotto il nome di fasciatura umida.

* J.C. Maleval è professore di psicopatologia allʼUniversità Rennes 2, Psicopatologo e Psicoanalista dellʼECF.

giovedì 22 dicembre 2011

Le trasformazioni del mondo del lavoro e il discorso del Capitalista (parte seconda)

di Guido Ferro Canale


Anzitutto, con S1 sotto barra, è almeno probabile un'espansione della dialettica immaginaria, un'oscillazione permanente del soggetto tra ciò che fa e ciò che vorrebbe fare. Di certo, non vorrebbe mai fare il precario: significante di un ruolo sociale, indubbiamente; ma è un S1 sotto la barra della rimozione, con cui, quindi, nessuno accetterà di identificarsi nel senso simbolico. Del resto, non gli corrisponde uno status preciso (perché S1, non è più legato direttamente a S2), se non quello della carne da cannone.
Ma il Capitalista ha ben saputo sostituire il vecchio ruolo sociale con qualcosa. "Conta ciò che fai", egli dice. Ossia, a $ si promette una soluzione in S2, il saper-fare, il sapere del servo. Come non leggervi l'esaltazione della tecnologia, caratteristica del nostro tempo? Al soggetto diviso non si prospetta più un'identificazione simbolica, bensì l'assorbimento della sua individualità e, all'estremo, la sua reificazione nel sapere che serve. Se ne trova una conferma precisa nella spersonalizzazione del lavoro: il Padrone di oggi è senza volto, è sotto barra, dominano gli standard di produttività e di efficienza. E le professioni più vagheggiate sono quelle dove il soggetto può ambire a riconquistare spazio, ma perché? Perché possiede un sapere raro o, come quello informatico, molto prezioso agli occhi del Padrone. Chissà, dunque, che questi non si decida a coccolarlo un po'!
La promozione di S2 assume, in campo lavoristico, forme precise: il curriculum, dove il soggetto si riduce appunto ad un sapere che spera sia quello desiderato; l'aggiornamento professionale, cioè un continuo rilancio della ricerca del sapere che serve; il bilancio delle competenze, momento di verifica della propria posizione. Si pensi anche all'espressione crediti formativi. Crediti nei confronti di chi, se non del Padrone o del Sistema?
Con il che, ho introdotto un altro tema, cioè il momento in cui il discorso del Capitalista si allea con quello dell'Università. Affinché il processo funzioni, occorre che questo mitico S2 prenda corpo, che si traduca in dati oggettivi, quantificabili, passibili di misura e verifica. Donde il linguaggio contabile (in una con l'illusione che il credito formativo corrisponda davvero ad un trovarsi “in credito”), ma anche l'esigenza di certificazione; occorre, cioè, l'autorità della scienza a garanzia di questo sapere. Ecco allora S1, non a caso sotto barra anche nel discorso dell'Università; ecco queste istituzioni un po' misteriose, come gli organismi certificatori, cui non corrisponde un'immagine sociale precisa, ma che nondimeno sono ammantati di un'autorevolezza indiscussa. Ecco anche, al di sopra di tutto questo, l'egemonia della scienza economica: di fronte al precario sfruttato non sta iù il Padrone cattivo, bensì la pretesa oggettività di un S2 (prassi commerciale e struttura del mercato); poco importa che, di fatto, ad esso soggiacciano scelte e logiche a strumentali a S1, dunque ad uno sfruttatore invisibile.
Ora la crisi ha rimesso seriamente in questione, nella coscienza comune, questo primato dell'economia; la pretesa totalizzante del discorso dell'Università si è scontrata, una volta di più, con a, sub specie del rischio finanziario, che si credeva esorcizzato. Sarà una premessa alla contestazione del discorso del Capitalista? Oppure le “nuove regole” tanto invocate non saranno che una forma più elaborata di inganno? Si vedrà.